Negli ultimi mesi la strategia degli Stati Uniti per scongiurare un conflitto su Taiwan ha cambiato forma, ma soprattutto si è estesa fino a coinvolgere gli alleati regionali. Non solo il Giappone ma anche la Corea del Sud viene adesso sempre più spesso chiamata in causa come elemento chiave di una deterrenza allargata nel Pacifico occidentale. L’obiettivo di Washington è chiaro: evitare che la competizione con la Cina degeneri in uno scontro armato capace di destabilizzare l’intero sistema internazionale.
Il ruolo della Corea del Sud nel dossier taiwanese
Secondo un’analisi del South China Morning Post, gli Usa stanno esercitando una pressione crescente su Seoul affinché assuma un ruolo più visibile nella strategia di contenimento di una possibile escalation nello Stretto di Taiwan. La nuova impostazione americana parte dal presupposto che la difesa dello status quo dell’isola non possa più essere affidata a un singolo attore, ma debba poggiare su una rete di alleanze integrate, capaci di scoraggiare Pechino dal ricorrere alla forza. In questo contesto, la Corea del Sud viene vista come un tassello strategico della cosiddetta “prima catena di isole”, l’arco geografico che dal Giappone scende verso Taiwan e le Filippine e che rappresenta una barriera naturale all’espansione navale cinese.
Washington chiede ai suoi alleati non solo un aumento delle spese militari, ma anche una maggiore interoperabilità delle forze armate, l’accesso alle basi e una più chiara disponibilità politica a sostenere uno scenario di deterrenza collettiva. Il messaggio americano è netto: la sicurezza di Taiwan non è una questione isolata, ma un test cruciale per la credibilità dell’intero sistema di alleanze statunitense in Asia.
Tuttavia, per Seoul la questione è tutt’altro che semplice. La Corea del Sud resta concentrata innanzitutto sulla minaccia rappresentata dalla Corea del Nord, e guarda con cautela a qualsiasi scenario che possa aprire un fronte di tensione diretto con la Cina, suo primo partner commerciale.
Un altro alfiere per gli Usa
Attenzione però, perché un coinvolgimento esplicito della Corea del Sud in una crisi su Taiwan rischierebbe di avere pesanti ripercussioni economiche e diplomatiche a livello nazionale, oltre a esporre il Paese a ritorsioni politiche o militari indirette da parte di Pechino. Nonostante queste riserve, negli ultimi anni si è registrato un progressivo avvicinamento sudcoreano alle posizioni statunitensi. Le dichiarazioni congiunte con Washington e Tokyo fanno sempre più spesso riferimento alla “pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”, un linguaggio che fino a poco tempo fa Seoul evitava accuratamente. È un segnale di allineamento politico, sebbene resti volutamente vago sul tipo di contributo concreto che la Corea del Sud sarebbe disposta a offrire in caso di crisi.
Per gli Stati Uniti, questa ambiguità è in parte accettabile. La strategia americana non punta necessariamente a vincolare gli alleati a impegni militari automatici, quanto piuttosto a costruire una deterrenza credibile, fondata sulla percezione di un fronte compatto e coordinato. In altre parole, l’obiettivo è rendere il costo di un’azione militare cinese così elevato da scoraggiarla a monte. La Cina, dal canto suo, continua a ribadire che Taiwan è una questione interna e non rinuncia all’opzione dell’uso della forza, pur preferendo ufficialmente una “riunificazione pacifica”. Allo stesso tempo, Pechino osserva con crescente preoccupazione il rafforzamento delle alleanze statunitensi nella regione, interpretandolo come un tentativo di accerchiamento strategico.

